Disponendosi ad una pratica che non predilige alcun media in particolare, l’artista Simona Di Meo, in residenza nel progetto “Sino alla fine del mare”, realizza opere e interventi che esplorano percorsi interdisciplinari tra arte, paesaggio, società e territorio. Il suo lavoro attiva dei processi che hanno lo scopo di riportare la memoria storica ed emotiva del luogo, innescando meccanismi di partecipazione e di dialogo con differenti tipologie di pubblico.
Simona ci racconta delle sue impressioni sul Capo di Leuca con scopo di de-costruire l’idea politica di confine; a Gagliano del Capo infatti, dove il segnale radiofonico si sovrappone a quello della Grecia e dell’Albania, l’artista cerca di mettere in relazione le tre comunità oltre i confini politici.
-Dopo questi primi mesi di residenza pensi che questa sia una terra estrema?
Non so se la definirei esattamente così. Ho l’impressione che questa definizione rischi di cadere in una rappresentazione un po’ esotica, dove l’indice di estremità viene misurato soprattutto in relazione alla presenza o meno di persone e di servizi. Ma in questo senso quale terra non è estrema? Senza andare troppo lontani, hai mai provato a spostarti con i mezzi pubblici da una parte all’altra di Roma, o a fare un giro in un qualsiasi paesino di montagna terminata la stagione turistica, ammesso che li il turismo ci arrivi ancora? Mi sembra invece di poter dire che questo luogo abbia delle specificità che magari non sono immediatamente leggibili, ma che nel medio-lungo termine possano esercitare una certa influenza nella vita di chi le abita. Ad esempio il modo in cui velocemente può cambiare il vento nell’arco di una giornata o come in molti punti, osservando la linea dell’orizzonte del mare questa sia molto alta, quasi come volesse mangiarsi il cielo.
-Quali sono gli elementi che stanno influenzando maggiormente il tuo processo creativo?
A Gagliano del Capo spesso il segnale radiofonico si sovrappone a quello degli Stati limitrofi della Grecia e dell’Albania, in un corto circuito che simbolicamente de-costruisce l’idea politica di confine nazionale. Partendo da questa suggestione, vorrei sviluppare un intervento che prevede la messa in relazione di tre comunità che risiedono nei paesi situati presso il confine politico dello Stato italiano, greco e albanese, in una “tessitura” narrativa di vicende e memorie personali, che testimoniano l’intreccio tra la storia politica delle frontiere e la vita delle persone.
-Su quali aspetti intendi incentrare il tuo lavoro di restituzione finale?
Il lavoro prenderà la forma immateriale ma densa di una trasmissione radio, una sorta di scultura audio, diffusa contemporaneamente nei tre paesi. L’intento è quello di esplorare il concetto di frontiera, nel contrasto tra la sterile aridità del l’aspetto politico/amministrativo e la vibrante permeabilità delle singole esperienze di vita, proponendo uno spazio in cui le identità convergono e diventano sincretiche.
-Tre parole per definire queste terre estreme.
Lunatiche, essenziali, antiche.
Per sapere di più su Simona Di Meo ed i suoi appunti.
Intervista di Maria Dabén Florit
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