Fase due. Paesaggio antropico e paesaggio ambientale.
Liberare la ricerca dal momento della produzione vera e propria; insistere su un tempo radicalmente lento; rintracciare storie e individuare possibili formati che siano in grado di riconsegnare – non formalizzare in senso oggettuale – in una direzione di tipo socio-antropologica, i confini di un paesaggio umano, terreno fin ora poco sondato in una ricerca sull’estremo che ha visto come attore principale il paesaggio nel suo aspetto geografico e paesaggistico.
In questo senso è forse meglio declinare la parola paesaggio nell’ottica di una prospettiva più ampia e parlare piuttosto di “spazi” al plurale lì dove «[…] le evidenze territoriali sono differenti e condizionano le scelte artistiche. La parola “spazi” è volutamente tra virgolette, sottintende l’ambiente, il paesaggio o il territorio. Sono termini che avrebbero in origine connotazioni differenti: non cambia l’oggetto di analisi, ma il modo di osservarlo, che determina la categoria concettuale espressa attraverso la scelta terminologica. […]» (A. Pioselli, L’arte nello spazio urbano, premessa).

Burraco al Bar 90 Minuto

Sessione di lavoro presso Lastation con Radical Intention, foto credits Claudio Zecchi
In quest’ottica, il paesaggio, è anche il luogo della percezione individuale e collettiva nel “fare” di un luogo un “paesaggio” (A. Pioselli) e in questa seconda fase gli artisti sono andati incontro ad una lettura ancora più ampia attraverso gli strumenti, o punti di osservazione, messi a disposizioni da alcuni professionisti esterni.
A partire proprio dalla definizione conflittuale di territorio e comunità con Michele Romanelli, lo sguardo si è poi posato, attraverso una procedura metodologicamente del tutto sperimentale e disfunzionale, sulla possibilità di rintracciare una possibile relazione tra la terra estrema del reale e la terra estrema del sogno (Radical Intention). Qui il lavoro collettivo declinato sul versante processuale ha imposto prima di tutto la necessità di un’attenzione su un linguaggio che viene continuamente e radicalmente rinegoziato nell’ottica della costruzione di un lessico comune. Un lessico completamente reinventato per determinare il luogo in cui ci si trova cercando di capire, se e quanto, i piani del pubblico e del privato o meglio, dell’emotività individuale e dell’emotività collettiva, siano influenzabili quando c’è condivisione. Il risultato parzialmente raggiunto è stata la costruzione di una mappa, un paesaggio in fieri in cui, per usare le parole di Calvino sebbene spostando il paradigma di riferimento su un piano più ampio (città = spazio), «non si deve mai confondere la città con il discorso che la descrive».

Sessione di lavoro presso il sentiero del Ciolo con Radical Intention, foto credits Claudio Zecchi
La mappa tende dunque a mettere in relazione due piani tracciando la soglia di un limbo in cui l’aspetto emotivo è costantemente presente. Un aspetto tanto fragile quanto effimero nel quale si registra quella dimensione sonora, a partire dall’ascolto, esplorata in fine con Massimo Carozzi (Artista, Zimmerfrei). Una dimensione che contribuisce ad allargare ulteriormente il piano dell’indagine sul paesaggio come strumento capace di restituire gli “spazi” – nella loro duplice natura antropica e ambientale – senza immagini ampliandone, per paradosso, la potenza emotiva. Il suono diventa quindi strumento attraverso il quale approcciarsi alle persone (come?), raccogliere testimonianze e (ri)costruire una narrazione comune che, non dando indicazioni geografiche precise, si sposta dal pianodel particolare a quello dell’universale.

Mappa della Terra Estrama del reale e della Terra Estrema del sogno (particolare)
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